Mito multimedia
di Stefano Betti
SOMMARIO
Dalla parola al mito........................................................................ 2
Tecnologie ambiente............................................................... 3
Mito multimedia.................................................................... 5
L’offerta tecnologica....................................................................... 6
On-line, architetture e protocolli........................................ 11
Reti di trasporto............................................................. 11
Reti di accesso................................................................ 15
Off-line , standard e caratteristiche.................................... 17
Logica delle soluzioni dedicate........................................ 19
La multimedialità depositata........................................... 22
Digitale come contenuto.............................................................. 26
Ambienti per comunicare..................................................... 29
La riduzione ad unità.......................................................... 31
Multimedialità a cottimo.................................................... 32
Il progetto editoriale............................................................ 33
Catena del valore nella multimedialità..................................... 36
La forma del digitale.................................................................... 38
L’interfaccia Utente.............................................................. 41
Glossario........................................................................................ 43
Bibliografia.................................................................................... 44
Indice................................................................................................ 1
“Ecco perché il mito è vissuto come una parola
innocente: non perché le sue intenzioni siano nascoste - se fossero nascoste
non potrebbero avere efficacia - ma perché sono naturalizzate”
Roland Barthes - Miti d’oggi
Dalla parola al mito
Se la scienza non è che un genere letterario la tecnologia è senza dubbio il suo best seller. Un po’ perché ad ogni successo di critica corrisponde un mercato dalle uova d’oro, un po’ perché il problema dell’autore si pone in letteratura, così come nel mondo scientifico, quale problema fondante: là come riconoscimento di una autorevolezza e quindi di un ruolo per il lettore in qualche modo previsto e garantito, qui come indispensabile contestualizzazione sociale di ogni nuova tecnologia.
Mentre la centralità dell’autore sembra però cedere il passo a nuove competenze del lettore/utente, letterario/tecnologico, a causa di oggetti testuali non completamente prevedibili a priori da nessun progetto editoriale, acquista maggiore rilevanza il grappolo di tecnologie ritenute depositarie di questo riscatto interattivo.
Al centro di queste tecnologie la quantizzazione numerica dei segnali analogici, la digitalizzazione di segni, simboli, linguaggi e relativi messaggi (Bettettini 1993:13), un processo che ha progressivamente coinvolto tutti i media e ora sembra proiettato verso il loro superamento. Il termine che più incarna quest’ultimo progresso, spesso inteso come inverante rispetto alla delusione dei mass-media, è “multimediale”.
Qualsiasi approfondimento attorno a questo termine, se il nostro lavoro vuole restare sulla soglia di ogni dibattito filosofico sociale, non può che partire dai fenomeni di mercato che se ne fregiano, dando particolare rilevanza alla loro struttura, persuasi che il problema dei nomi, la libertà delle parole, sia forse l’ultima sintonia tra letteratura e scienza, soprattutto se da quest’ultima viene declinata una offerta tecnologica.
Le parole sono importanti, al punto che nei venticinque anni che separano il processore Intel 4004 del 1971 con i suoi 2.300 transistor dal Pentium Pro del 1995 (un particolare, si tratta del primo nome di processore il cui nome è sottoposto a copyright) e i suoi 5,5 milioni di transistor, quello che ha scandito la crescita di questa progressiva conquista tecnologica non è stata la sequenza delle generazioni di processori, ma l’apparato critico con il quale l’informatica ha parlato e fatto parlare di sé.
All’inizio era la potenza di calcolo pura, applicata alla balistica e ai messaggi cifrati, poi è stato l’occhio rosso di Hal 9000 in “2001 Odissea nello spazio”, non più calcolatore ma elaboratore elettronico, che nel bene o nel male si dimostrava disposto a traghettarci in uno dei molti futuri possibili. Da lì in poi la disponibilità di prodotti consumer, a partire dal personal computer messo a punto da Steve Jobs in un garage all’inizio degli anni ’70, ha reso necessarie metafore più disponibili, calibrate sulle dimensioni del mercato, legate ai concetto di utilità, praticità, formazione o aggiornamento professionale continuo, condivisibili da tutti.
Sfugge, anche alle cronache più attente, quella sintesi che dia le chiavi per una interpretazione univoca delle diverse tecnologie legate alla microelettronica, raccolte sotto i due estremi dell’informatica e dell’elettronica di consumo. Del resto il carico metaforico di molte parole utilizzate per definire i suo fenomeni di mercato, mentre accorcia le distanze con una tecnologia opaca e poco condivisibile, sembra rimandare al contesto, all’interesse che circonda quel ‘qualcosa’ di vendibile (Carità Donat-Cattin 1988:201), sia esso un prodotto oppure un servizio, il suo ultimo significato.
Tecnologie ambiente
In questo senso il valore di ogni tecnologia rispetto a nuovi media è da intendersi principalmente in funzione di ambiente di sviluppo e le vicende di quella che va definendosi come la “rivoluzione digitale” ne sono un esempio. La tecnologia guida, la microelettronica -con la progressiva riduzione dei prezzi di produzione- in origine dedicata alla soluzione di problemi specifici, ha progressivamente orientato le sue applicazioni verso mondi specifici, sfere di interesse collettivo come la comunicazione, l’intrattenimento, l’accesso alle risorse e alle memorie storiche e sociali.
Nel passaggio da soluzione specifica ad ambiente specifico, sembra aver trovato piena applicazione la distinzione “hardware” e “software”, macchina e programma, fissata all’inizio di questo secolo da Alan Turing (1912-1954) che insieme alla prima descrizione dettagliata del concetto di computer digitale[1] conduce all’equivalenza tra dati e programmi in forma numerica e da qui fino alle architetture rete=computer dei recenti Network Centric Computer (NCC).
Questa distinzione si è insomma dimostrata valida nel condurre la microelettronica al centro di ogni ambito operativo umano nella certezza che quel “software”, quella parte mobile e mutevole, fatta di dati e di programmi eseguibili dal computer, sarebbe stata in grado di adattarsi a qualsiasi esigenza d’utente, a qualsiasi sua intelligenza e competenza. Il codice binario fatto di “0” e “1”, opportunamente compilato, costituiva la via per impartire istruzioni all’”hardware”, oltre che la modalità per riversare contenuti diversi nella memoria sempre più capiente del computer. Così, all’interno di un codice compilato, si era resa disponibile una illusione linguistica attraverso la quale linterattivit [2]tra utente e macchina si facesse via via più semplice e immediata, un ambiente comune, appunto, dove rappresentazione, comunicazione e conoscenza potessero incontrare nuove possibilità espressive[3].
Proprio questa interattività di origine digitale, tesa ad emulare una interazione comunicativa tipica del rapporto uomo/uomo, si pone alla base dei nuovi media, nati dall’incontro tra microelettronica e media tradizionali e dalla progressiva integrazione tra media diversi resa possibile da una diffusa digitalizzazione dei rispettivi messaggi, siano essi immagini, suoni, testi.
Infrastrutture di rete, digitalizzazione e sviluppo delle tecnologie informatiche legate alla microelettronica e alle memorie di massa: sono queste tre aree di sviluppo dalla sovrapposizione delle quali si rendono disponibili nuovi canali distributivi per contenuti tradizionali in forma digitale (reti intelligenti/broadcasting). Oppure canali innovativi in grado di permettere la sintesi di nuove forme mediali interattive (on-line, off-line).
La pluridirezionalità nel gestire le informazioni propria dell’interattività, il ruolo guida giocato dall’utente e un ritmo particolare considerato nell’interattività come tempo reale, rendono disponibili percorsi di accesso alle unità di informazione integrate di carattere non sequenziale. Questa relativa libertà del lettore, all’interno di un ipertesto previsto per lui, è resa possibile da particolari memorie digitali all’interno di diversi supporti fisici, ottici (CD-Rom, DVD) e magnetici (Hard/Floppy Disk), prossimi o remoti, in grado di consentire un accesso non sequenziale a diverse unità di informazione.
La rappresentazione di questi particolari tipi di testi secondo tutte le capacità percettive e cognitive della mente, apre infine alla concezione oggi più diffusa di multimedialit: un computer o un altro tipo di interfaccia digitale, che gestisce contestualmente sotto forma di bit, immagini, testi, suoni ed elaborati grafici.
Mito multimedia
Come è facile intuire queste tre parole, interattività, integrazione e infine multimedialità, svelano una impossibile perentorietà proprio per le particolarità dell’ambiente digitale all’interno del quale si sono sviluppate.
L’interattività, vista come possibilità di partecipazione attiva al contenuto del discorso mediale, partendo da un artificio linguistico (Colombo 1993), è in realtà un particolare tipo di ordine previsto in fase di programmazione, allo scopo di consentire all’utente finale quell’approccio semplificato indispensabile all’incontro tra complessità intrinseca della macchina e largo mercato. Si svela così, nell’interattività vista come emulazione del rapporto uomo/uomo, un surrogato di intersoggettività (Parascandalo 1997) che non può far altro che arenarsi in forme di prodotto viziate da una interpassività diffusa.
Parimenti l’integrazione di diversi media all’interno dell’unico stato fisico di bit e sempre più spesso dell’unico supporto fisico ottico o magnetico, o dell’unica presenza in rete, avvalora un’idea che dovrebbe sottendere la nascita di questi nuovi media in qualche modo centripeta[4]. In realtà l’apporto dei media tradizionali a questo nuovo tipo di testi non è una semplice giustapposizione o somma causata da una forza esterna: l’idea di una multimedialità centripeta non sottolinea abbastanza l’identità che questi hanno come sintesi nuove, organizzate.
Ancora. Se quello che contraddistingue l’accesso alle informazioni digitali, quello che diversifica un CD-Rom o un DVD dal molto più diffuso Vhs, è la non sequenzialità con la quale possono essere reperite immagini, suoni e testi, ecco che l’elemento di composto “iper” meglio definirebbe la capacità dei nuovi media di creare al di sopra dei singoli elementi di testo percorsi di accesso diversi. Meglio ipermediale quindi che multimediale, con l’elemento multi a sottolineare una sorta di sinestesia illimitata che non trova riscontro nel mondo fisico.
Che le parole si portino dietro un limite del resto non è un fatto nuovo, è una realtà alla quale siamo consegnati e della quale siamo responsabili tutte le volte che mettiamo in atto una semiosi; così come non è un fatto nuovo che alcune di queste parole, soprattutto se neologismi, non siano innocenti. Esiste l’informatica ed esiste l’informatica umanizzata, esistono computer e computer fatti per la casa, la microelettronica non sfugge a questa legge del discorso: mito è tutto ciò che “vale per”. Così mette al servizio dei media una serie di metafore nuove e ne riceve in cambio un “trend”, un genere di successo, ma soprattutto impedisce l’unica eventualità sfavorevole al mito, la parola mitica non detta.
Multimedia è l’opera di un continuo nascondimento delle tecnologie, diverse, per diversi protagonisti, in favore di un neologismo concettuale. Parte da qui la nostra indagine, non dal disincanto per una variante di marketing.
Lofferta tecnologica
Utilizzeremo quindi le parole interattività, integrazione e multimedialità nell’accezione precedentemente chiarita: interattività come partecipazione del soggetto al discorso mediale, integrazione come compartecipazione di diversi media al discorso mediale, multimedialità come contemporanea sollecitazione di tutto quanto risulti sensibile al soggetto; in verità incontriamo queste parole sotto il termine ombrello di multimedialità in una offerta tecnologica abbastanza differenziata e vale forse la pena abbozzare un panorama attorno a questi fenomeni di mercato. Multimedialità, interattività e integrazione sono infatti utilizzate indifferentemente per definire due categorie di prodotto molto diverse: prodotti che hanno come base il personal computer e utilizzano la sua capacità di organizzare risorse, e prodotti che hanno come riferimento lo schermo della tv e si appoggiano alla sua larga diffusione sul mercato.
In tutti e due i casi si parla di integrazione, multimedialità e interazione sia nell’ambito di applicazioni chiamate a supportare processi aziendali, sia per applicazioni che riguardano l’utenza cosiddetta “consumer” e il suo mercato di riferimento, il mercato residenziale.
Prodotti “multimedia-Pc” quindi, come approccio della tecnologia dell’informazione (IT- Information Technology) al mercato residenziale dove la sua penetrazione è ancora limitata[5] , ma anche prodotti “multimedia-tv” che con il consolidamento della tecnologia digitale rappresentano una concreta opportunità di rivitalizzazione dei settori maturi dell’elettronica di consumo.
Multimedialità e prodotti multimediali quindi come opportunità dell’industria informatica quanto dell’elettronica di consumo: l’offerta tecnologica, in questo senso, coincide per entrambe le tipologie di prodotto nell’offerta di particolari contenuti, siano essi disponibili “off-line”, al di fuori di un collegamento in linea, ad esempio attraverso la vendita di titoli su supporto Cd-Rom, siano essi disponibili “on-line”, in linea, attraverso un’attività di broadcasting o una rete di telecomunicazioni geografica[6].
In ogni caso la digitalizzazione in questi prodotti, sia che abbia come riferimento la tecnologia informatica (off-line) si che si appoggi invece ad una disponibilità telematica (on-line), non interviene solo sulla qualità delle unita informative percepibile dall’utente, scopo che in qualche modo accomuna il broadcasting di segnali digitali (DVB), per fare un esempio on-line, o lo sviluppo di supporti digitali, per fare esempio off-line, come il Cd audio. Si tratta, diversamente, di prodotti per i quali la digitalizzazione si mette al servizio delle caratteristiche guida della multimedialità, pur conservando un tipo di tecnologia di accesso ai contenuti specifica per ognuno dei quattro quadranti del nostro schema.
Al di là dell’importanza degli standard, che osserveremo in seguito e degli operatori coinvolti nelle due principali tipologie distributive -si tratta di una distribuzione in parte diversa da quella tradizionali quindi da intendersi in senso lato-, le tecnologie guida con le quali si rendono disponibili i contenuti multimediali sono principalmente di due tipi. Tecnologie “push”, e tecnologie “pull”. Nel primo caso si tratta di modalità di tipo broadcasting che accomunano il tradizionale apparecchio radiofonico o televisivo al Video On Demand: nell’ambito di un particolare spettro una stazione trasmittente conduce - push un dato contenuto in direzione di una stazione ricevente. Viceversa in una rete geografica come internet è l’utente a reperire, a tirare fuori - pull l’informazione, da memorie magnetiche dedicate, gestite da particolari server remoti.
Se ai contenuti disponibili on-line sostituiamo le risorse di un sistema prossimo, una memoria digitale ottica o magnetica off-line, al servizio di una interfaccia utente multimedia-pc o multimedia-tv, si direbbe che anche in questo caso si tratti di tecnologie di tipo pull perché in ogni momento il flusso dei dati può essere interrotto alla sorgente[7].
Fatta questa distinzione si direbbe che per quanto riguarda le tecnologie push utilizzate in ambito multimediale, almeno uno dei termini guida, l’interattività, venga meno, oppure che l’attività dell’utente si contragga in funzioni di controllo. In realtà che la partecipazione dell’utente al discorso mediale controlli il flusso dei dati a livello dell’interfaccia o a livello remoto l’esito non cambia, l’importante è che una garantita bidirezionalità del canale trasmissivo dia modo alla sua volontà di esprimersi in un tempo contratto al punto di sembrare reale[8].
In questo senso ogni limitazione all’interattività del dispositivo multimediale va ricercata nei limiti tecnici e nella gestione della bidirezionalità del canale, non nella logica trasmissiva. Un esempio in qualche modo positivo è la diffusione di modalità broadcasting anche in fenomeni tentativamente multimediali come internet che hanno inizialmente basato la loro diffusione su logiche di accesso di tipo pull. In questi casi si parla di narrowcasting (gettare vicino) perché questo tipo di tecnologie consente l’accesso a canali informativi specializzati, ma soprattutto permette una fine personalizzazione dei contenuti.
Conduce invece oltre il limite opposto della nostra definizione di multimedialità l’utilizzo della modalità push da parte di servizi televisivi diffusivi in modalità numerica, Pay-tv, canali tematici, Pay-per-view. Includendo in questo elenco anche il Near-Video-On-Demand (N-VOD); in questo caso ci troviamo di fronte ad un tipo di multimedialità diffusiva non interattiva in quanto il canale di ritorno, un modem collegato alla rete telefonica, è utilizzato dal fornitore di contenuti soprattutto per l’identificazione dell’utente e la relativa gestione di accesso condizionato. È infatti esclusa la personalizzazione dei contenuti al di là di una scelta di palinsesto.
Chiaramente il “controllo/personalizzazione” dei contenuti e la “scelta” dei contenuti sono in qualche modo gli estremi della libertà dell’utente, una libertà che si contrae/espande in presenza di un limite tecnico del medium e soprattutto a seconda dell’offerta di contenuti disponibile: nell’evoluzione di internet ad esempio, una tecnologia tipicamente pull, sempre più spesso l’utente si affida a dei meccanismi di riduzione automatica dell’incertezza come i motori di ricerca per parole chiave[9].
Si mette così in evidenza la volontà di arrivare, in presenza di una molteplicità di contenuti difficilmente gestibile in forma diretta da parte dell’utente, ad una reale informazione, ad una riduzione dell’incertezza riorientando il proprio cammino e svolgendo in questo orientamento solo funzioni di controllo su di un sistema automatico.
Lo stesso discorso può valere in linea teorica per le tecnologie on-line che ruotano attorno allo schermo tv. La possibilità dell’utente di definire il proprio personale palinsesto in tempo reale passa esclusivamente per una ponderata bidirezionalità del canale trasmissivo[10] e della gestione che di questo il provider, il fornitore di contenuti, sa e può fare. Che i servizi N-VOD abbiano già conosciuto il mercato portandosi dietro il nostro termine ombrello è in questo senso un fatto puramente incidentale.
On-line, architetture e protocolli
Reti di trasporto
Se nelle tecnologie push è riconoscibile un approccio di tipo diffusivo che accomuna gestori CATV a operatori tv via satellite (DTH) e via etere, in quelle pull è possibile cogliere l’impronta di operatori del settore delle telecomunicazioni quanto delle realtà del mondo informatico. Per questi ultimi infatti è sempre stato necessario avvalersi di tecnologie che permettessero una trasmissione di tipo bidirezionale: una conversazione telefonica come un collegamento client/server in una rete di computer.
Questo non toglie che l’approccio di tipo informatico e l’approccio di tipo telematico alla gestione delle reti sia tuttora fondamentalmente diverso. Caratteristiche particolari infatti si possono rilevare nella telematica e nell’informatica alle prese con la multimedialità, sia in riferimento alle reti di accesso, l’ultimo tratto di linea che collega l’utente alla centrale di smistamento più vicina, sia in riferimento alle reti di trasporto, dette anche reti dorsali (backbone network), che comprendono le reti di comunicazione privatamente dette escluso l’accesso.
ADSL:
Asymmetrical Digital Subscriber Line. Architettura di rete di accesso che
consente di utilizzare l’attuale collegamento in rame per velocità trasmissive
fino a 8Mbit/s, sufficienti a distribuire servizi VOD, alcuni canali tv in
forma digitale compressa oltre che un canale telefonico e un servizio dati ad
alta velocità, per distanze fino a cinque chilometri.
ATM:
Asynchronous Transfer Mode Tecnologia di invio e smistamento (commutazione) di
dati digitale su linee telefoniche. Si tratta di una tecnologia a pacchetto
(vedi testo) considerata in passato come la base per la realizzazione della
B-ISDN (Broadband ISDN) evoluzione della rete di telecomunicazioni capace di
ottimizzare diversi servizi a bande passanti maggiori di quelle attuali, ma a
differenza delle tecnologie IP orientata alla connessione (connection
oriented). È considerato comunque lo standard di riferimento per la
trasmissione di contenuti in modalità multimediale, anche se in alcuni casi
vengono preferiti al suo interno protocolli connectionless
come IP.
B-ISDN:
Broadband-Integrated Services Digital Network. Rete digitale di servizi
integrati a larga banda, evoluzione delle reti di accesso per fornire alle aree
metropolitane e geografiche servizi di comunicazione ad alta velocità
(centinaia o migliaia di Mbit/s) secondo una particolare idea evolutiva delle
telefonia tradizionale (connection oriented).
DCS 1800:
Digital Communication System at 1800 MHz, sistema radiomobile numerico derivato
dallo standard GSM. Recentemente ribattezzato GSM 1800. Può essere utilizzato
anche per l’accesso radio a banda stretta fisso all’interno di aree urbane.
DECT:
Digital Enhanced Cordless Telecommunications. Standard per applicazioni mobili
che può essere utilizzato anche per l’accesso radio a banda stretta all’interno
di aree urbane per utenze fisse.
DTH: Direct
To Home. Insieme di tecnologie di tipo diffusivo per la distribuzione di
segnali televisivi in ambito domestico via satellite; recentemente mirati
all’offerta diretta di servizi multimediali interattivi. Velocità di downstream
fino a 500 Mbit/s, velocità di upstream da 64 Kb/s a 2 Mb/s.
FTTCab:
Fiber To The Cabinet. Architettura di rete di accesso realizzata in fibra
ottica fino all’”armadio ripartilinee” della rete telefonica ordinaria, da lì
in poi integrato con un tratto ADSL o VDSL. Equivale agli acronimi FTTCurb
(marciapiede) e FTTBuilding (edificio). Consente downstream da 51 Mbit/s e
uptream 8 Mbit/s.
FTTH: Fiber
To The Home. Architettura di rete di accesso realizzata interamente in fibra
ottica. Può essere utilizzata per servizi video di tipo diffusivo e video
interattivo. Consente velocità di trasferimento dati simmetrica di oltre 2GB/s.
GEO:
Geostationary Earth Orbit. Satelliti posizionati in orbita geostazionaria ad
una altezza di 35.800 m con velocità uguale a quella della rotazione terrestre.
HALE: High
Altitude Long Endurance. Palloni stratosferici o velivoli posti su rotte chiuse
ad alcune decine di chilometri da terra sui quali potrebbero venire installati
ripetitori radio microonde per servizi urbani a larga banda.
HFC: Hibrid
Fibre-Coax. Architettura che utilizza parte della rete di accesso della tv via
cavo coassiale (CATV). In questo caso solo parte del collegamento tra centrale
e utente è realizzato in fibra ottica. Prevede un canale di ritorno attraverso
dispositivi chiamati cable data modem.
IP: Internet
Protocol. Protocollo basato sulla commutazione a pacchetto. È compito di questo
software inviare da una località all’altra pacchetti di caratteri (circa 1500)
accomunati da una destinazione unica. Una volta a destinazione un’altra parte
di software TCP-Trasmission Control Protocol, ricompone i diversi pacchetti.
Nella sua versione attuale (IP versione 4) offre un servizio di rete connectionless di tipo best-effort, con la migliore efficienza,
senza garanzia di consegna dei dati. In rete tutti i dati vengono trattati così
allo stesso modo senza possibilità di discriminare tra le diverse tipologie di
applicazioni generatrici, soprattutto senza possibilità di distinguere
trasmissioni isocrone da trasmissioni asincrone.
LEO: Low
Earth Orbit. Satelliti geostazionari a bassa elevazione per servizi cellulari
complementari alle reti terrestri.
LMDS: Local
Multichannel Distribution System. Tecnologia di accesso a targa banda mediante
portanti radio al di sopra dei 10 GHz. Utilizzati in origine come alternativa
alle architetture CATV supportano servizi multimediali pienamente interattivi
con le limitazioni dovute ad un raggio di azione ridotto, alle perturbazioni
atmosferiche, ai vincoli architettonici e alla possibile nocività per l’uomo.
Punto-multipunto:
Architettura di accesso radio particolarmente flessibile ma non normalizzata,
per servizi che vanno dalla semplice fonia analogica ad accessi ISDN.
VDSL: Very
High bit-rate Digital Subscriber Line. Architettura della stessa famiglia
dell’ADSL. Rispetto a questa ottiene velocità trasmissive fino a 52Mbit/s per
distanze fino a 1.500 metri.
La differenza sostanziale tra i due tipi di approccio può essere ben riassunta dalla tipologia di commutazione impiegata. Gli operatori delle telecomunicazioni, alle prese con segnali di tipo analogico, hanno tradizionalmente preferito la commutazione di circuito, mentre per l’informatica è sempre stato più naturale avvalersi di tecnologie a commutazione di pacchetto. La commutazione di circuito, meccanica prima e elettronica poi, consente di instradare la comunicazione attivando di volta in volta il circuito elettrico interessato, mentre la commutazione di pacchetto affida un determinato blocco di dati, accompagnato da alcune informazioni di servizio, ai router, nodi di smistamento, con il compito di propagarli attraverso l’itinerario migliore. L’operazione viene svolta nel più breve tempo possibile, compatibilmente con il traffico presente in rete, quindi senza vincoli rigidi.
Orientata alla connessione, la commutazione di circuito prevede particolari procedure per stabilire il contatto garantendo requisiti di banda (ampiezza di banda) costanti nel tempo; in questo senso risulta particolarmente adatta a comunicazioni legate al tempo come la fonia o la distribuzione di segnali televisivi. La commutazione di pacchetto, tipica del modello internet, realizza invece un tipo di comunicazione elastica, in grado di adattarsi a situazioni di congestione ed è caratterizzato dall’assenza di una procedura di instaurazione o abbattimento delle connessioni. Si tratta insomma di un sistema efficace in presenza di brevi collegamenti tra computer come nel caso dell’accesso in rete tipico dell’utenza internet.
Pur sviluppando nuovi standard per accogliere il trasporto di dati digitali, quindi a commutazione di pacchetto, gli operatori di telecomunicazioni sono rimasti fedeli ad un tipo di tecnologia orientata alla connessione (ATM); allo stesso tempo il successo di protocolli di tipo internet (IP) in moltissimi applicativi, nella diffusione di servizi multimediali ma anche nella telefonia e nella videotelefonia, e la relativa crescita del fabbisogno di banda, ha coinvolto gli stessi operatori spingendoli, nell’imminenza di nuovi investimenti, a rivedere la logica della rete di trasporto in funzione di queste nuove utenze[11]. Dalla parte opposta il mondo dell’informatica sta operando per rendere il protocollo IP in grado di negoziare comunicazioni a banda garantita (RSVP- Resource Reservation Protocol).
In ogni caso ATM e IP sono entrambe protocolli legati alla rete e quindi in qualche modo in competizione, anche se la diffusione on-line di contenuti multimediali richiederebbe entrambe le caratteristiche chiave: banda elastica per accesso a dati non legati al tempo, banda garantita per dati legati al tempo. In questo senso la multimedialità sta all’imperante metafora delle “autostrade dell’informazione” come uno svincolo irrisolto.
Reti di accesso
Se la digitalizzazione delle reti di trasporto è un fatto relativamente recente lo è ancora di più quella delle reti di accesso. Il primo processo è stato scarsamente reso pubblico dagli operatori di telecomunicazione, guidato com’è da ragioni di economia del sistema più largamente condiviso, prima che da nuovi servizi realizzati per l’utente, ma il secondo si promette di diventare un vero e proprio atto di accesso del privato nell’era dell’informazione a motivo del valore d’uso della multimedialità.
Riconosciuta come la parte più onerosa della rete, il terminale d’utente realizzato in rame è più che sufficiente nel trasporto di segnali analogici in voce e si è dimostrato versatile anche con i diversi standard fax e modem fin qui sviluppati[12]. La sua sostituzione o la sua implementazione lasciano spazio quindi ad applicazioni dal fabbisogno di banda fin qui sconosciuto.
È possibile la realizzazione di questo collegamento da parte degli operatori interamente in fibra ottica (FTTH) dotando di una banda passante virtualmente illimitata e bidirezionale le utenze interessate da nuovi contenuti multimediali[13], oppure è possibile appoggiarsi ad architetture ibride fibra ottica-rame (FTTCab) mantenendo parte della terminazione di utente telefonica o, dove questa è diffusa, della precedente cablatura tv (HFC).
Altri accessi realizzati via radio sembrano prediligere modalità diffusive scarsamente conciliabili con la multimedialità, per insufficienza di banda come per i sistemi radiomobili (DCS 1800 e DECT) o per la difficile gestione separata di un canale di ritorno che renda possibile l’interattività, come nei sistemi punto-multipunto terrestri (LMDS) o nel broadcasting via satellite. Una rapida evoluzione di quest’ultima tipologia di accesso (DTH) sembra indirizzata però a competere sullo stesso piano di tutte le tecnologie cablate: disponibilità di banda adeguata, partecipazione attiva dell’utente al discorso mediale (bidirezionalità) e la possibilità di una contemporanea presenza in un’unica iniziativa di connessione di tutti i servizi e i contenuti ricevuti fino ad oggi dall’utente per vie diverse (tv/ pay-tv/ telefonia).
Proprio in questa duttilità della connessione si gioca infatti l’approccio al mercato che non può essere che graduale: se non è possibile finanziare una evoluzione tecnologica con un servizio e dei contenuti non ancora disponibili (leggi multimedialità) non resta quindi che appoggiarsi ad una nuova tipologia di accesso il più possibile duttile per distribuire servizi e contenuti tradizionali insieme ai nuovi. La contemporanea presenza di operatori diversi in questo senso non ha giovato alla coerenza degli investimenti visto e considerato che la titubanza degli operatori spesso si ferma alla revisione dell’interfaccia utente, la prima vera prova di mercato, che nell’eventualità di una rete interamente digitale andrebbe comunque rivista, anche in presenza di servizi e contenuti tradizionali.
Nell’accenno ad un problema così ampio, che non avrà modo di essere approfondito, senza etichette, livori nazionalistici e resoconti di attività legislative , è possibile intravedere un tipo di approccio alla multimedialità di carattere centripeto, preoccupato di trovare il giusto spazio e la giusta riconoscibilità all’interno della metafora “multimedia” dei media tradizionali. Il problema sembra così consistere nello “stare tutti sullo stesso cavo”, piuttosto che nel rivedere la propria offerta in virtù di una nuova e originale sintesi. Tutti sullo stesso cavo perché è l’unico modo per passare al digitale, facendo consistere in questo, un problema di piattaforma, il valore d’uso della multimedialità.
Off-line , standard e caratteristiche
Contenuti multimediali si rendono disponibili anche al di fuori di una rete di telecomunicazioni, attraverso la distribuzione di supporti ottici o magnetici per i dati digitali. Il prodotto raggiunge così il mercato alla stregua di molti altri contenuti di carattere culturale, con l’unica variante che per le particolarità dei suoi contenuti gli standard digitali che lo ospitano devono consentire un accesso non sequenziale a frammenti di testo. Qui l’identità rete digitale=contenuto multimediale si perde per lasciare il posto ad una funzionalità dell’interfaccia utente. L’interattività in questo senso non è più una condizione particolare di accesso all’interno di una rete bidirezionale, disponibile presso il fornitore di contenuti, ma una tecnologia, una risorsa, una modalità operativa dell’interfaccia, in grado di leggere, presso l’utente, questi supporti multimediali, siano essi Cd-Rom, Floppy Disk, EPROM o DVD.
Abbiamo identificato l’accesso off-line come una tecnologia di tipo pull, in quanto favorevole all’intervento dell’utente sui dati in origine, ma anche in questo caso la disponibilità all’interazione, presente come tecnologia a livello di interfaccia, è messa in gioco esclusivamente dal contenuto. Dipende infatti da questo preferire l’ordine interno del suo testo, inteso come textum - organizzazione coerente, piuttosto che ridiscuterlo a diversi livelli in funzione dell’utente e della sua iniziativa. In ogni caso mentre nella disponibilità on-line il contenuto poteva essere un tessuto mutevole, ridiscusso continuamente da una volontà autoriale, qui è cristallizzato una volta per tutte sul supporto fisico ed è in grado di emulare o meno quelle tecnologie di accesso che abbiamo definito push e pull o rendere disponibili loro infinite vie di mezzo.
Il grado di emulazione di una interfaccia off-line può spingersi fino a considerare parte integrante del testo un ulteriore canale on-line come fonte di aggiornamenti di parte del testo o quale ulteriore canale interattivo per utenti/testi remoti.
Come prima insomma modalità push e modalità pull sono i due estremi di una libertà interattiva depositata comunque “altrove” rispetto al momento o al luogo della fruizione: il contenuto disponibile on-line quanto quello disponibile off-line appartengono ad un progetto precedente che utilizza risorse tecnologiche per rendere disponibile un certo grado di interattività, ma non per questo ne mutua necessariamente forme assolute. Da qualche parte, tra testi chiusi e testi aperti, tra servizi interattivi e accesso a data base, semplici elenchi, c’è un progetto editoriale, o come l’abbiamo definita in precedenza, una volontà autoriale.
Supporto |
Capacità |
Bidirezionalità
|
Floppy Disc |
1,4 Mb |
Sì |
Eprom |
illimitata |
Sì |
Cd-Rom (CD-I) |
640 Mb |
No |
CD-Rom R |
640 Mb |
Sì |
DVD |
fino a 17 GB |
No |
La vicinanza tra risorsa tecnologia e utente non è però senza esito, fissa infatti due particolarità nella multimedialità off-line che ne condizionano sensibilmente la diffusione: un più stretto legame tra standard tecnologico e tipologia di contenuto e una relativa maggiore competenza necessaria all’utente nel definire la sua interfaccia. In altre parole due sodalizi tra componenti tecnologiche e componenti non tecnologiche dai quali dipende la multimedialità off-line.
Le principali caratteristiche dei supporti off-line sono quelle di tutte le memorie digitali, la velocità di accesso, la velocità di trasferimento, la capacità e la disponibilità di concedere bidirezionalità ai dati, registrando quindi nuovi contenuti una o più volte. Su queste caratteristiche si prova l’evoluzione tecnologica che si attesta, come vedremo, in nuovi fenomeni di mercato con soluzioni non univoche. Così se la disponibilità in rete di diverse tipologie di contenuto rendeva l’interfaccia in qualche modo secondaria, virtualmente valida cioè per diverse utenze e diverse competenze, per quanto riguarda i contenuti off-line il problema del supporto e della sua compatibilità si pone come questione principale, tale da richiedere una particolare competenza nella scelta dell’interfaccia da parte dell’utente, secondo un calcolo di profittabilità immediata legato al valore d’uso del contenuto multimediale.
Logica delle soluzioni dedicate
Standard e contenuti si affacciano insieme sul mercato rispondendo ad un problema in qualche modo fisiologico: lo standard è la modalità con la quale il mercato riconosce i suoi prodotti, quindi il principale requisito della sua distribuzione. Quello che potrebbe essere però un semplice sodalizio transitorio -in presenza di contenuti digitali il “contenitore” come vedremo è indifferente al suo contenuto- acquista sovente le forme di un vero e proprio matrimonio di interessi. Per chiarire questo fenomeno possono tornarci utili due vicende, quella delle grandi case di hardware e software per videogame e quella, più recente, delle major americane alle prese con diversi supporti digitali.
Nel primo caso si assiste ad una proliferazione di soluzioni dedicate: interfacce operanti solo con contenuti e supporti (in questo caso c’è identità tra i termini) di un particolare produttore. Le soluzioni tecnologiche tendono qui a riconoscere l’esclusività del contenuto attraverso un rapporto esclusivo tra interfaccia utente e supporto, si tratti di EPROM, memorie elettroniche pre-programmate, oppure di Cd-Rom dedicati. È così possibile trovare in commercio console sviluppate appositamente per utilizzare il software del produttore o di una casa di software che ha concordato con questo la disponibilità di un titolo attraverso una stessa rete distributiva.
Se la scelta di una piuttosto che un’altra soluzione tecnologica è volta a sfruttarne le particolari caratteristiche, come la velocità di accesso e di trasferimento dei dati per le EPROM o la capacità di memoria e il basso costo di produzione per i Cd-Rom, l’affermazione di soluzioni dedicate dipende in buona parte dal tipo di contenuto multimediale proposto. Il videogame ha storicamente assunto una profonda riconoscibilità per genere (adventure, platform, simulator…) più significativa nei confronti dell’utente della riconoscibilità stessa della casa editrice/produttrice.
A motivo di questo le infinite variabili di programmazione che rendono diversi i prodotti anche quando richiedono abilità molto simili. In un mercato di prodotti similari, ma non per questo omologabili e soprattutto non riconducibili allo stesso copyright, ecco che il problema della riconoscibilità di un particolare prodotto diventa un fattore competitivo decisivo.
Risulta così sbarrata la via di piattaforme comuni con soluzioni software in libero mercato di concorrenza, almeno per i produttori di hardware, mentre si assiste ad un progressivo affrancamento di produttori di software capaci di realizzare titoli per diverse piattaforme, siano esse dedicate siano esse aperte come il personal computer.
In ogni caso la scelta di una soluzione dedicata mira alla fidelizzazione dell’utente rispondendo al problema della riconoscibilità con quella che potremmo definire “opzione di piattaforma”.
Un simile problema di supporto fisico, coinvolge le major hollywoodiane alle prese con il primo vero standard che possa far entrare i loro contenuti nell’alveo della multimedialità. Annunciato nel settembre del 1995 il DVD-Digital Video Disc nasce da un accordo in extremis tra due cordate di produttori di elettronica di consumo e contenuti audio/video per l’intermediazione di Ibm ed altre importanti realtà informatiche. Sotto gli acronimi MMCD, Multimedia Compact Disc (Sony, Philips…) e SD, Super Density (Toshiba, Time Warner…) diverse realtà hanno messo a punto un tipo di Cd basato su di un laser a lunghezza d’onda particolare in grado di contenere fino a 17 gigabyte utilizzando entrambe i lati del supporto, un tradizionale dischetto in policarbonato dal diametro di 12 centimetri. Persuasi dell’inutilità di una guerra commerciale e memori della vicenda Betacam/Vhs, le diverse case uniscono gli standard nell’unico protocollo DVD, realizzando un unico consorzio detentore dei diritti di sfruttamento.
Presenti nel consorzio fin dall’inizio, le più grandi case cinematografiche americane hanno chiesto e ottenuto che allo standard comune venisse applicato un particolare algoritmo, in grado di limitare la diffusione dei contenuti secondo particolari aree geografiche, già utilizzate nella diffusione dei titoli presso le sale cinematografiche. In questo modo lettori DVD e supporti DVD, prodotti sia per piattaforme multimedia-tv sia per piattaforme multimedia-pc, conservano la piena compatibilità solo se distribuiti nella stessa area geografica.
Vanno fatte in questo senso due considerazioni: la prima è che l’utilizzo dello standard DVD nella diffusione di titoli cinematografici non può essere annoverata come iniziativa multimediale, la seconda è che in generale le applicazioni possibili del DVD vanno ben oltre il passaggio al digitale del comune formato Vhs.
Se si guarda alle major come possibili protagoniste anche nella produzione di contenuti multimediali è interessare constatare come quello che è un caso estremo e in qualche modo esterno alla multimedialità, costituisca un interessante precedente. È chiara infatti la volontà di adeguare ad un mercato che già esiste, quello cinematografico, uno standard, quindi una modalità distributiva, attraverso una soluzione dedicata simile alla precedente ma questa volta legata ad una “opzione di mercato”.
Il problema da risolvere in questo caso non è la riconoscibilità del prodotto, ma al contrario la gestione della sua notorietà, sviluppata con lanci successivi, a partire dai mercati di riferimento, che in un sistema distributivo maturo come quello cinematografico ha già raggiunto un particolare grado di affidabilità. La presenza in uno di questi mercati di un supporto come il DVD all’interno del quale può trovare spazio il titolo in cinque lingue e sottotitoli per altre 20, diventerebbe un fattore trasversale intollerabile.
Questa opzione, utilizzata oggi per la cinematografia, potrebbe essere utilizzata da chiunque voglia adottare un sistema distributivo simile, basato sull’attesa dell’evento, già in parte utilizzato nel lancio di particolari videogame o titoli edutainment legati ad eventi cinematografici[14], e coinvolge allo stesso modo produttori hardware e software del mondo informatico quanto produttori hardware e software di elettronica di consumo.
In presenza di particolari tipologie di contenuto insomma la logica che domina è una logica di tipo distributivo, tesa a preservare una particolare catena del valore che altrimenti, in presenza di contenuti digitali, tende a mutare forma rispetto a quella dei contenuti culturali tradizionali. L’intermediazione di alcune realtà informatiche in questa vicenda chiariscono il valore che per alcuni protagonisti ogni standard costituisce in sé, mentre per altri mutano i termini di quel problema fisiologico indicato all’inizio: il contenuto, non più lo standard, è la modalità con la quale il mercato riconosce i suoi prodotti, quindi il principale requisito della sua distribuzione.
La multimedialit depositata
Considerando le principali vie di accesso ai contenuti multimediali, on-line e off-line, ci siamo resi conto di quanto quei “prodotti multimediali” con i quali ci sembrava -e ci sembra- di poter catalogare i principali fenomeni di mercato, in realtà non siano che proiezioni di particolari contenuti, peraltro al momento scarsamente disponibili.
La multimedialità non sembra infatti poter essere depositata in alcuna tecnologia esclusiva, così come non sembra poter essere ricondotta ad una semplice modalità di accesso ai dati consumata “in diretta”. Tutte le tecnologie, quelle costruttive della rete, come quelle impiegate nell’interfaccia utente, si rendono disponibili realizzando un particolare dispositivo di risorse al servizio di forme testuali tanto più determinanti, rispetto alle modalità della loro distribuzione, quanto più organizzate, programmate, asservite ad un progetto editoriale.
I casi di “omologati contenuti videogame” e di “uniche produzioni cinematografiche”, mostrano infondo gli estremi di una identica volontà di riconoscere la supremazia del contenuto, da una parte costruendo per lui un “contenitore” apposito come le console dedicate, dall’altra mantenendo all’interno di un nuovo standard le sue tradizionali forme distributive.
Come si evidenziava in precedenza si tratta di casi estremi al limite della nostra definizione di multimedialità eppure si tratta di testi, organizzazioni coerenti, che più di altri hanno il pieno possesso di quello che potremmo definire il codice di una comunicazione multimediale.
In ogni caso si direbbe che la multimedialità per esserci debba essere depositata, perché quella opportunità multimediale che abbiamo visto essere tanto dell’informatica quanto dell’elettronica di consumo possa concretizzarsi a prescindere dalle tecnologie impiegate, in qualche modo non decisive per i suoi contenuti.
In uno dei tanti livelli nei quali l’utente può incontrare il contenuto, al di là della tecnologia visibile nella digitalizzazione degli elementi di testo, comune peraltro ad altri media tradizionali, deve essere riconosciuta una matrice multimediale .
Oltre la modalità di accesso c’è il testo[15] ed è qui che va riconosciuto un tessuto multimediale. D’altra parte nelle diverse tecnologie di accesso prese in esame e nei limiti che sembrano accompagnarle, le tendenze che sembrano più stabili sono proprio quelle nelle quali è il contenuto a dettare, anche tentativamente -come nel caso della “convivenza” on-line di diversi fornitori- le forme della propria distribuzione. Diversamente si assiste a repentini cambi di marcia.
Quelle tendenze nelle quali è il “contenitore”, la tecnologia di accesso, a condizionare la distribuzione, sono quelle che più si scontrano con i limiti dell’infrastruttura, da una parte, o con i limiti di un mercato in rapido divenire dall’altra.
Per quanto riguarda l’accesso on-line, è significativa in questo senso la nuova disponibilità di diversi protagonisti a realizzare protocolli di comunicazione che uniscano le caratteristiche della gestione di rete telematica e l’elasticità di accesso informatico (ATM/IP)[16] in una sola tecnologia di rete.
Nello stesso senso va letto il proliferare di case software, per quanto riguarda l’accesso off-line, che producono titoli per piattaforme diverse con attenzione sempre maggiore alle piattaforme “aperte” come il personal computer[17].
Ma se la tecnologia di accesso non può fare da sponda alla multimedialità, perché non è garante si direbbe, anche una modalità distributiva, intesa come canale commerciale, non sembra sia in grado di farlo. Il titolo infatti, disponibile off-line, tende a spostare continuamente all’origine il suo valore, moltiplicandosi in successive versioni, aggiornamenti, edizioni speciali, saghe, tese ad indicare nella casa editrice l’unico riferimento di mercato.
In parte strumenti di direct marketing, in parte soluzioni per tenere aggiornati i software già distribuiti, si vanno diffondendo così soluzioni software -si parla di Cd-Rom o DVD “ibridi”- in grado di gestire un canale on-line quale contatto diretto con la casa editrice oltre che con altre interfacce utente.
Secondo proiezioni Datamonitor nel mercato dei
videogame l’hardware e il software delle console dedicate (DC-Dedicated
Console) sono destinati a cedere spazio ad una sempre maggiore diffusione del
software game per personal computer (PC), ma soprattutto alla nascente
distribuzione di prodotti multimediali on-line. (I dati espressi in percentuale
sul totale).
In questo modo il progetto editoriale sembra progressivamente spostare in rete parte di quelle risorse multimediali, proprie dell’interfaccia utente, sfruttando la connettività diffusa delle piattaforme personal computer per creare nuovi confini di interattività[18].
L’utente ha così localmente un accesso economico e a larga banda al contenuto Cd-Rom o DVD, mentre può disporre on-line di una integrazione continua al valore del titolo acquistato off-line. In presenza di titoli games si avrà la possibilità di accedere a sessioni di gioco multiutente[19], formando comunità virtuali; in presenza di titoli reference (enciclopedie e opere per consultazione) si disporrà di aggiornamenti periodici, per titoli di intrattenimento generico si potrà partecipare a forum di discussione o consultare il relativo sito web. Anche i servizi possono avvalersi di questa tipologia di prodotto: un catalogo darà la possibilità di eseguire un ordine on-line, mentre un software applicativo fornirà un aggiornamento regolare.
Oltre a differenziarsi, arricchirsi, estendere la sua vita utile il titolo off-line “ibrido” crea così nuovi collegamenti con ambienti on-line sottolineando la distanza dalle diverse modalità di accesso dei suoi contenuti. Mentre ribadiscono questa centralità le iniziative editoriali slegano la loro immagine dai produttori di hardware aumentando gli investimenti in brand marketing.
Diversi osservatori sostengono la validità di questo modello evolutivo basato su piattaforme aperte e distribuzione mista, on-line/off-line, in grado di conservare anche nell’approccio al mercato, oltre le forme tradizionali, le particolarità dei contenuti in forma digitale e con caratteristiche multimediali.
Digitale come contenuto
Come abbiamo visto diverse sono le modalità di accesso ai contenuti multimediali e le tecnologie che le guidano, ma diverse sono anche le tipologie di contenuto, a partire dalla distinzione testi/servizi che definisce due grandi aree di interesse attorno alla multimedialità: l’intrattenimento e l’informazione.
Aree di interesse che mettono alla prova operatori differenti (informatici/telematici) per quanto riguarda la possibilità di realizzare un’unica modalità di accesso on-line, si parla in prospettiva di una FSN-Full Service Network una sola rete “trasparente” ad ogni tipo di testo o servizio. Ma anche tipologie di contenuto che coinvolgono diversi agenti di informazione o sistemi autoriali, detentori delle competenze, delle infrastrutture -al di là della disponibilità di una rete di telecomunicazione- o della cultura necessaria.
In aggiunta alle tipologie di accesso tecnicamente diverse (on-line/off-line) e disomogenee (connection oriented/connectionless), esistono condizioni che la specificità dei contenuti detta a qualsiasi iniziativa che abbia come scopo la sintesi di un nuovo media.
Si tratta di condizioni di “attraversamento”, specifiche di un mercato relativamente nuovo dai contenuti interattivi, ma si tratta anche di condizioni limite alla multimedialità intesa come forma di questi contenuti. In ogni caso sarà possibile, passando per la sintesi di una “mappa”, avere nuove indicazioni su quella “multimedialità depositata” del paragrafo precedente che non accetta di riconoscersi in alcuna tecnologia e rimanda continuamente al progetto editoriale o all’interfaccia utente la sua ragion d’essere.
In questo senso si impone la distinzione testi/servizi non in quanto “forma” di ciò che l’utente si trova di fronte, ma in quanto fine ultimo al quale tende l’interazione che lo vede protagonista. È infatti a partire da una scelta operata a priori, all’interno di un progetto conoscitivo o comunicativo (Vittadini 1993), che si delinea il confine del suo interesse e ogni possibile categorizzazione dei contenuti.
Andranno considerate separatamente quelle condizioni fruitive, contraddistinte da una comune interattività, nelle quali il pubblico coinvolto è in grado di percepire la sua presenza come “lettore/spettatore”, nella conoscenza di testi di qualsiasi natura, o come “utente”, di fronte ad una offerta di servizi in qualche modo strumentali ad un suo particolare progetto comunicativo.
L’interattività prevista per questo tipo di contenuto farà sì che in entrambe i casi l’esito finale, l’attività svolta, vada al di là di qualsiasi progetto editoriale che si pone così come una matrice continuamente rinegoziabile nel suo senso, con la possibilità, sempre aperta, di integrare nella modalità di costruzione dei messaggi diversi media. Tale matrice, in qualche modo aperta, se mutua le sue forme dall’interazione possibile in un dialogo o in una conversazione, mostra però dei contorni rigidi in quanto esclude al suo interno la possibillità di rinegoziare le regole di scambio.
Considerando che il singolo testo o il singolo servizio avranno regole dettate da un certo progetto editoriale, sarà responsabilità del progetto conoscitivo o comunicativo dell’utente/lettore attivare il tipo di matrice più adatta. Questa rigidità, rendendo obbligatoria una scelta, presuppone una particolare competenza rispetto a quelle che sono le modalità interattive fissate da diversi progetti editoriali. Una competenza specifica delle diverse modalità di offerta che pone un freno alla diffusione di qualsiasi novità, non in funzione del contenuto, come per i media tradizionali, dove si parla di specializzazione, ma in funzione della frequentazione di simili soluzioni editoriali, solita di un pubblico di “addetti ai lavori”.
Così se in un mondo di medium digitali si può ben dire con Nicholas Negroponte “il medium non è più il messaggio. È solo la sua materializzazione”[20], si può altrettanto dire che in presenza di medium interattivi questa materializzazione è tutt’altro che unica.
È bene tenere la progettazione di una “mappa dei contenuti” a questo livello, in quanto la distinzione a livello della forma con la quale i contenuti si presentano, non sempre può essere netta; in parte perché legata appunto alla loro “materializzazione”, in parte perché molte categorie tradizionali risulterebbero largamente inadeguate. Sotto la categoria dei servizi, ad esempio, possono trovare posto servizi informativi ed è in questo caso difficile stabilire, con forme mutuate da media tradizionali, differenze tra filmati a contenuto documentario o film documentari, la disponibilità di una matrice interattiva, così come l’integrazione di media simili, risultano in questo caso uniformanti.
L’assenza, sotto la distinzione “testi”, della voce “multimediali” è dovuta proprio alla mancanza di una competenza specifica di questo tipo: non è ancora diffuso un lettore multimediale. Del resto il fatto che nessun particolare tipo di accesso, pur consentendo l’integrazione sia depositario della multimedialità, indica che certe forme mediali tradizionali possono mantenere all’interno di nuove matrici un carattere predominante senza che questo venga riconosciuto come un limite del progetto editoriale da parte del lettore. Inoltre, si tratta di considerazioni valutative confermate da molti fenomeni di mercato, non è interesse di nessuna nuova forma mediale perdere riferimenti in grado di attivare l’indispensabile competenza del lettore, reiterando la disponibilità in rete di “riviste interattive”, proponendo la diffusione di titoli Cd-Rom come “film interattivi” oppure titoli reference che non si distaccano molto dalla definizione di “enciclopedie multimediali”.
Sono fenomeni che partono dallo stesso punto di vista: l’accento su di una multimedialità come attributo piuttosto che come ambiente di sviluppo valorizza competenze già condivise con il pubblico, mentre minimizza la necessità di condividerne nuove di carattere informatico. L’alternativa infatti, sentita come un limite per tutti i contenuti digitali, è quella di valorizzare una interfaccia di riferimento, una particolare tecnologia informatica/ telematica, quale supporto multimediale indispensabile.
Mappa dei contenuti
Il limite della matrice multimediale
Fare vecchie cose in modo nuovo o fare cose nuove in modo multimediale: sembra di poter leggere questo tra le righe della nostra mappa. Al di là della divisione testi/servizi si trovano infatti voci di non particolare pertinenza multimediale ma che possono da questa trarre nuove modalità d’interscambio. Si tratta di situazioni comunque mediate, anche in presenza di forme dialogiche con altri utenti, da interfacce predisposte a consentirne l’accesso.
La matrice dominante di questi testi/servizi è essenzialmente l’interattività, quella che meglio definisce l’apertura di senso disponibile al lettore/utente; mentre la multimedialità, più esposta ai limiti tecnici dell’interfaccia utente, sembra far parte di quelle regole non contrattabili del progetto editoriale[21].
Dal lato dei testi infatti la multimedialità è prevista/esclusa come loro parte costitutiva, condizione per nulla dissimile dai media tradizionali: un testo filmico si avvarrà di una colonna sonora secondo determinate modalità, un videogame utilizzerà spezzoni di film, e così via. Viceversa dal lato dei servizi la multimedialità può essere considerata come un particolare tipo di interfaccia in grado di introdurre ai contenuti multimediali di banche dati che di questi contenuti dispongono.
Nell’uno e nell’altro caso si tratta di multimedialità come di un attributo all’interattività, un suo fattore esterno: l’esito di una ricerca oppure la modalità di costruzione di un testo. È facile constatare come da questi estremi e da questa considerazione della matrice multimediale sia esclusa buona parte della nostra mappa. In generale l’area dei servizi rivela il limite alla matrice multimediale indicato: o si tratta di informazioni/ disposizioni/ comunicazioni che hanno come oggetto messaggi con una modalità di costruzione di questo tipo, oppure la multimedialità si riferisce esclusivamente ad una dotazione di interfaccia. Molte delle voci in mappa fanno riferimento o simulano messaggi come documentazioni, ricevute, bollette, telegrammi, moduli, che non richiedono modalità fruitive multimediali, mentre si arricchiscono indubbiamente in presenza di un accesso interattivo; resterebbero quindi al di fuori di nuove iniziative mediali molti dei servizi che in questo momento suscitano interesse attorno ad una possibile informatizzazione diffusa.
Per un certo tipo di testi e servizi, il contenuto si dimostra permeabile ad un approccio multimediale, ma si direbbe che solo per nuovi tipi di messaggio la matrice multimediale possa avere valore. Anche qui, come nel caso delle tecnologie, è difficile definire una tipologia di contenuto che rappresenti o contenga la multimedialità, mentre appare improbo per la categoria dei servizi, anche solo fregiarsi del nostro termine ombrello, per il semplice motivo che insieme all’offerta di nuovi contenuti mediali deve formarsi presso l’utente un progetto conoscitivo o comunicativo di carattere multimediale che lo muova.
Ambienti per comunicare
Un utilizzo particolare della multimedialità è quella applicata alla comunicazione interpersonale “istantanea”, una esperienza di interattività particolare mutuata attraverso una interfaccia quindi con un certo livello di rigidità ma che ha come contenuto l’interazione tra due utenti, nella forma tipica del dialogo. In questa applicazione è facile individuare un tipo di multimedialità non più intesa come attributo, ma come ambiente di interazione.
Il tipo di contatto in tempo reale richiede che un contenuto di questo tipo possa esser disponibile solo on-line e solo in presenza di una rete implementata in modo particolare (connection-oriented). Questo tipo di comunicazione del resto può essere considerato come una forma di dialogo, una conversazione telefonica estesa -Videotelefonia, Videoconferenza- che si arrichisce di codici gestuali, del senso della vista e di alcuni elementi di connotazione come l’espressione del viso. Ma rende rende possibili anche interazioni tra individui che abbiano come scopo quello di agire a distanza all’interno di particolari ambienti virtuali e multimediali. Dalla condivisione di una semplice scrivania di lavoro, alla stesura di un testo a più mani, è possibile trasferire in un ambiente virtuale interi processi produttivi.
Le interfacce utente consegnano così tutte le coordinate, o le unità di informazioni di un ambiente reale e remoto oppure fittizio, che solo una matrice di interazione multimediale può riprodurre fedelmente. Mentre il canale comunicativo che renda possibile una forma di dialogo “arrichita” può essere implementata anche solo aumentando la disponibilità di banda, resta in buona parte da considerare e da applicare l’utilizzo della multimedialità come ambiente anche perché, come vedremo, la multimedialità vista come ambiente sposta inevitabilmente l’attenzione sull’ambiente utente, quindi sulla sua interfaccia, perché in questo senso effetti di maggiore o minore realismo passano sì attraverso tutti i sensi, ma soprattutto attraverso la disponibilità della terza dimensione.
La riduzione ad unit
Considerando come valida la distinzione testi/servizi, occorre rilevare che la presenza sul mercato di un testo multimediale, nel suo aspetto di textum, organizzazione coerente, va considerata in modo unitario, irriducibile, anche se l’atto della fruizione, così come la sua personalizzazione, può essere determinante non solo per i tempi, ma per le modalità stesse di svolgimento, come in presenza di trame di film con finali diversi, o di videogame.
Si tratti di alcune o di infinite varianti, queste si trovano in un contesto omogeneo raccolto sotto un titolo, all’interno del quale si attivano uno o molteplici percorsi narrativi. La soluzione, il finale, la prova di abilità compiuta, stanno ad indicare la chiusura di un ciclo e l’autonomia di un testo, si tratti dell’intera opera multimediale o di un modulo di essa.
È opportuno puntualizzare questa caratteristica nei contenuti di tipo testo in quanto dal lato dei servizi, siano essi informativi o dispositivi, la personalizzazione può scendere all’interno del contenuto fino alla singola transazione commerciale, alla singola consultazione di banca dati, al singolo titolo di rassegna stampa richiesto. Si tratta in questo caso di contenuti i cui estremi sono stabiliti dall’interazione dell’utente con il sistema informativo, che mutua le sue unità minime di interesse dalla natura stessa dei dati.
La riduzione ad unità è resa necessaria, in entrambe i casi, per fissare il valore commerciale di questo tipo di scambio. Il rapporto con l’utente o con il lettore del testo multimediale è infatti basato sull’interazione e ogni valutazione non può prescindere dall’esito effettivo di questa in termini di contenuti raggiunti.
Sul valore di questi contenuti, attorno al quale giocano come variabili la flessibilità propria della fruizione multimediale, consiste l’opportunità di questo nuovo media rispetto ai media tradizionali.
Fissando questa distinzione è possibile cogliere un sottile paradosso: nell’ambiente digitale nel quale tutto è riconducibile a segni minimi (bit) e sembra così facilmente quantificabile, si affaccia una logica qualitativa che distingue bit da bit, riconosce testo da servizio e servizio da servizio, secondo la sua appartenenza ad una determinata unità, il valore della quale segue i criteri tradizionali di utilità d’uso e gusto personale.
Multimedialit a cottimo
Nei servizi interattivi quindi l’unità è in qualche modo una logica informativa[22] ed è possibile ricostruirla seguendo i passi che l’utente fa per raggiungerla, mentre per i contenuti in forma di testo l’unità è imposta da un progetto editoriale precedente. Questa irriducibilità del testo è un fatto formalmente ininfluente all’interno di un fenomeno multimediale off-line, in quanto l’esistenza stessa di un titolo, di un unico supporto e di un’unica confezione ne sottolineano il valore unitario, ma lo è molto meno nel caso di una sua presenza in rete[23]. Qui infatti i due estremi della libertà dell’utente, scelta e personalizzazione del contenuto, tendono da una parte a passare il testo così com’è al lettore multimediale, dall’altra a ridurlo in frammenti più o meno grandi in funzione del suo interesse. Questi estremi nel rapporto tra lettore e contenuto multimediale vanno considerati anche in presenza di testi espressamente pensati per una distribuzione modulare o frammentaria, per arrivare alla definizione di unità minime di interesse senza le quali non è possibile dare coerenza di mercato, e quindi relativo valore, ad alcuna forma testuale compiuta.
Nella definizione se questa libertà sia o meno possibile, si comprende come l’editoria multimediale, prima di subire dei vincoli dal lato della legislazione sul diritto d’autore o della definizione di un modello economico adeguato, basato ad esempio sulle unità di testo/servizio effettivamente utilizzate e non su formule di canone-abbonamento, deve registrare una sostanziale diversità di approccio al suo interno tra modelli di acquisto on-line e off-line anche in presenza di contenuti identici.
È necessario inoltre capire se in virtù di forme di pagamento particolari sia consentito operare scelte selettive anche all’interno di un testo pensato per media tradizionali, smontando in questo modo la forma commerciale “album”, “film”, “partita di calcio” solo perché disponibile on-line.
Testi tradizionali irriducibili, difficilmente si adattano a nuovi media, anche sotto il punto di vista economico, anche se questi sono l’unico contenuto di cui al momento dispongono. Le modalità di accesso on-line devono infatti prevedere l’utente che rifiuta il palinsesto che si è creato da solo, quello che semplicemente non è più interessato o quello che non trovando quello che cercava la pianta lì. Per i modelli di accesso off-line questo comportamento non è un problema, le risorse tecnologiche necessarie alla fruizione sono depositate presso l’utente che ha il diritto di “staccare la spina” quando vuole, ma nella multimedialità on-line l’accesso remoto a queste risorse instaura un rapporto continuo tra utente e provider che va in qualche modo slegato dal buon esito dell’informazione mediale.
Il progetto editoriale
Il modello interattivo che la multimedialità propone tende così a disegnare un utente-lettore più responsabile e consapevole e può farlo a partire da una particolare chiarezza nelle categorie di contenuto di cui dispone[24]. Non sembra influire su questa chiarezza neppure l’idea uniformante di una multimedialità a “cottimo”, pesata sul contenuto, oggetto dell’interazione, in ordine alla sua quantità, in quanto non risponde correttamente a tutte le tipologie di accesso, oppure non viene riconosciuta come valida a causa di una sovrapposizione, ipotizzabile per diversi contenuti, tra modalità distributive tradizionali (quindi forme tradizionali) e nuovi media.
Si direbbe così che l’identikit di autore, o sistema autoriale, che se ne trae sia di tipo non tecnologico, o almeno che la tecnologia che lo conduce, dalla materia prima al prodotto finito, non sia strettamente di tipo informatico/telematico. Abbiamo infatti potuto osservare come le matrici (interattiva/multimediale) non siano di particolare utilità perché vengano riconosciuti specifici contenuti, mentre sembra giocare un ruolo di maggior rilievo la notorietà e la competenza di determinati autori o sistemi autoriali riconoscibili sul mercato.
Uno degli sviluppi più interessanti della microelettronica in questo senso è stata la disponibilità di sistemi autore largamente diffusi anche per piattaforme di sviluppo di valore contenuto. Questi sistemi, composti di interfacce software immediate[25] e periferiche hardware in grado di digitalizzare ogni genere di segnale/testo analogico, consentono operatività alle iniziative editoriali anche senza una diretta competenza a livello di programmazione. Potranno, attraverso queste piattaforme di sviluppo, diventare operative quelle realtà che pur non avendo sviluppato al proprio interno una redazione multimediale o specifiche professionalità, siano detentrici di una particolare cultura editoriale.
Lo sviluppo di software multimediale è altrimenti possibile all’interno di linguaggi di programmazione tradizionali come C++, che aumentando di complessità realizzativa allontanano il prodotto finale da qualsiasi progetto editoriale che non sia quello del programmatore stesso. In questo caso il titolo multimediale si rifarà, con buona probabilità, più alla cultura degli stessi programmatori che non a quella di una redazione estesa, come un titolo di questo genere richiederebbe (Varvello 1996).
Un accesso in qualche modo facilitato per ogni iniziativa di carattere contenutistico non trova però riscontro con la realtà del mercato, generando uno dei molti paradossi multimediali: la diffusione di sistemi autore particolarmente evoluti facilita l’iniziativa editoriale di “autori forti”, più competenti rispetto al contenuto che rispetto alla tecnologia, ma l’interfaccia utente maggiormente diffusa è più idonea alla gestione di contenuti realizzati al di fuori di questi ambienti.
Si tratta di un limite tutto tecnologico che differenzia interfaccia utente da interfaccia utente, come avremo modo di vedere, ma che in generale avvantaggia quelle realizzazioni software più vicine all’operatività della macchina che ad ambienti di sviluppo dedicati. Questi ultimi infatti utilizzano una maggiore quantità di risorse, memoria di massa, tempo processore, soprattutto in presenza di una matrice di contenuto multimediale.
Il personal computer mostra in questo caso la tela di tutta l’informatica: a maggiore semplicità per l’utente (user friendly)) corrisponde una maggiore complessità tecnologica; legge alla quale non sfuggono anche interfacce sviluppate in altri ambiti[26] che però, attraverso soluzioni proprietarie, riescono a convogliare tutte le risorse ottenendo migliori prestazioni ad esempio nella gestione dei video digitali in standard Mpeg.
Hanno così ragione d’essere anche “autori deboli”, competenti sotto il profilo tecnico ma portatori di una cultura esclusivamente informatica, a motivo di una maggiore diffusione di piattaforme a minore sofisticazione in grado di “sbrigare” in tempi brevi, possibilmente “reali”, solo contenuti realizzati con linguaggi di programmazione. Un progetto editoriale che parta da questo tipo di competenze dovrà però affrontare tutte le problematiche tipiche di un editore tradizionale, esasperate dalla complessità multimediale, come la selezione degli autori o la ricerca dei diritti per i diversi media, la distribuzione attraverso canali efficienti e la gestione dei margini di redditività.
In ogni caso, una iniziativa editoriale che non abbia come partner di sviluppo costruttori hardware di soluzioni proprietarie, difficilmente si appoggerà su queste come riferimento per l’interfaccia utente, anche se al momento potrebbero garantire prestazioni interattive/multimediali migliori. Soluzioni di partnership in questo senso vengono affrontate solo se si prevede una distribuzione significativa, oltre le barriere linguistiche e culturali con una redditizia predilizione per le produzioni game.
Fattori di ostacolo allo sviluppo di titoli
multimediali.
Questionario sottoposto a 920 editori e 980
sviluppatori di software.
Fonte “Cd Rom Professional”, novembre 1993, “A report on the industry”.
L’integrazione operativa necessaria tra questi due tipi di realtà sembra in qualche modo presagire nuove identità professionali multidisciplinari, libere da condizionamenti tecnologici, come abbiamo visto, quanto orientate alla realizzazione di contenuti formati all’interno di una matrice multimediale riconoscibile. Identità di questo genere possono costruirsi a partire da redazioni classiche, produzioni cinematografiche o televisive, ma in ogni caso trovano nell’impresa editrice moderna -capace di tradurre ogni iniziativa in evento culturale, finanche la vita pubblica dell’autore- il terreno più fertile.
Catena del valore nella multimedialit
L’integrazione operativa sembra così l’approccio migliore a qualsiasi progetto editoriale teso alla creazione di un contenuto. In qualche modo è questo il primo anello della catena, il primo passo di un percorso che come per la distribuzione tradizionale arriva all’utente/lettore, ma che per le diverse modalità di accesso possibili in presenza di contenuti digitali lo fa anche per vie del tutto nuove. Dal possesso di determinate informazioni e competenze, che abbiamo visto depositato presso realtà in qualche modo tradizionali o comunque già formate, si passa, nella catena del valore, a quella che è essenzialmente una struttura tecnica, un centro di servizi.
In questa struttura viene realizzato il “packaging”, la forma con la quale il contenuto modellato su di una matrice multimediale andrà incontro al mercato, si tratti della sua presenza su di una particolare rete (on-line), oppure della sua riproduzione su di un supporto fisico in un adeguato numero di copie (off-line); a questo livello della catena, il più sensibile all’evoluzione tecnologica e alla sintesi di nuovi standard, viene fissata la configurazione definitiva con la quale il prodotto/servizio risponderà a specifiche esigenze del lettore/utente.
Fonte:
McKinsey
A questo punto spetta ai canali distributivi competere nel tentativo di rendere più appetibile l’offerta: nel caso della distribuzione on-line, nuovi e vecchi operatori in grado di mettere un sistema interattivo e con una larghezza di banda sufficiente al servizio dell’uente, potranno puntare sull’esclusività di particolari contenuti, con operazioni boquet, realizzando forme di pagamento innovative. Operatori tradizionali di tv via cavo come operatori di telecomunicazioni dimostrano però maggiore interesse, al momento, nei confronti di contenuti noti al pubblico, piuttosto che a nuove forme mediali. Nel caso di contenuti disponibili off-line la viene considerata strategica una presenza capillare sul territorio attraverso diverse catene distributive in funzione delle caratteristiche specifiche del prodotto[27] e del tipo di interfaccia utente che richiede. Spetta poi all’utente/lettore, in relazione alla tecnologia di interfaccia di cui dispone e al contesto nel quale pensa di trarre un beneficio dalla fruizione, reperire sul mercato il suo privato “valore multimediale”.
In realtà questa serie di passaggi che basa la sua attrattiva sul valore dei contenuti da comunicare e crea le condizioni per una evoluzione dei consumi -in termini di personalizzazione- non ha molto da spartire con i canali tradizionali e le modalità di finanziamento di questi. Continua ad avere la meglio un mercato on-line calibrato sulla logica dell’offerta grazie ad uno stretto controllo sulle risorse pubblicitarie, per il quale giocano a favore una progressiva globalizzazione dei network televisivi e la liberalizzazione nella concentrazione dei media. In questo senso resta poco spazio per l’intervento dell’utente, attorno al quale andrebbero riviste starategie di comunicazione importanti, come quella pubblicitaria, di difficile comprensione in un contesto di interattività diffusa.
Allo stesso tempo sembra del tutto indifferente al “passaggio” digitale nei supporti off-line l’industria cinematografica, che con il Vhs ha trovato una piattaforma analogica di sufficiente diffusione per valutare in termini strategici vendita e noleggio dei suoi contenuti per il mercato domestico[28]. Se la catena distributiva della multimedialità ha qualche punto di immobilità, questo coincide senza dubbio con la catena distributiva dei contenuti audiovisivi tradizionali, al punto che l’unico cambiamento sensibile a livello di mercato è stata una notevole valorizzazione degli attuali cataloghi, in vista di nuove modalità di diffusione sul mercato e soprattutto nuove partnership. Grande interesse infatti, è stato dimostrato da parte delle major, per contenuti digitali già maturi come i videogame[29].
All’interno di una situazione simile è estremamente difficile si attui qualsiasi fenomeno di “disintermediazione”: il passaggio diretto dal produttore al consumatore per via telematica che ha avuto una grande visibilità in internet e ancora più enfasi nei commenti. Una difficoltà che cresce in presenza di forme mediali tradizionali che trovano maggior riscontro in forme distributive mature.
L’apertura di un nuovo canale comporta numerosi problemi, l’incertezza di standard definitivi, soprattutto on-line, e in generale di competenze specifiche in ambito di sicurezza e forme di pagamento, tende in ogni caso a preferire soluzioni mediate, quindi relativamente meno convenienti per l’utente, per una progressiva considerazione di alcuni mercati di nicchia.
Si assiste infatti ad una politica accorta attorno a questo tipo di contenuti, tendente alla conservazione dei canali esistenti. Ancora prima che contenuti multimediali siano effettivamente disponibili e sia diffuso un lettore/utente capace di trovare profitto dal loro utilizzo, sembra che in generale il formato stesso digitale, sia visto con una certa diffidenza, da quelle stesse realtà che sembrano più interessate e più adeguate, per il tipo di investimento e di culture coinvolte, al loro sviluppo.
Punti critici nella
diffusione del commercio elettronico
• Sicurezza
nelle transazioni commerciali
• Diffusione
di nuovi metodi di pagamento
• Disponibilità
di infrastrutture a maggiore banda passante
• Strumenti
normativi adatti
• Barriere
culturali e linguistiche
In generale, considerando che i beni interessati al fenomeno hanno una forte componente culturale e linguistica, non sembra valere per tutte le realtà nazionali il profilo di crescita che il commercio elettronico ha avuto per gli Stati Uniti, paese dove peraltro è molto diffusa, per ragioni geografiche e storiche anche la vendita per corrispondenza, oltre ad essere significativa la penetrazione di interfacce “aperte” in ambito domestico, come i personal computer.
Sembra influire meno su questa catena del valore e senza creare aderenze l’informatica in senso stretto, più veloce nel riorientare Altra vitalità invece per l’ultimo blocco che si affaccia sul mercato, l’iterfaccia utente, non avendo come attrativa il contenuto, almeno non inizialmente, ha appoggiato sulla microelettronica, bagaglio tanto degli operatori informatici quanto di quelli di elettronica di consumo, l’introduzione di nuovi prodotti.
La forma del digitale
La pervasività di tali contenuti è insomma tale da richiedere una visione molto più organica del panorama mediale di quella richiesta in precedenza ad una realtà produttiva in questo settore; una sintesi che chiede indicazioni univoche al mercato.
Offerta tecnologica e contenuti trovano così un punto di equilibrio nella definizione di opportuni standard: si tratti dei supporti fisici sui quali questi contenuti vengono registrati (Cd-Rom, DVD…), dei protocolli utilizzati dai canali trasmissivi (TCP/IP, ATM…), oppure della modalità stessa di intelleggibilità dei dati a prescindere dal supporto o dal canale comunicativo (Ascii, Html, Mpeg2…) propria dell’ambiente digitale.
Questi tre ambiti, strettamente legati tra loro dettano una forma con la quale il contenuto multimediale va incontro al mercato dalle caratteristiche particolari. Trattandosi come abbiamo constatato, per quei prodotti / standard di mercato che rispondono a tutte e tre le caratteristiche guida, di informazioni in forma digitale, è possibile programmare / prevedere in fase di definizione:
• L’interoperabilità
• La scalabilità
• La copia identica
• La compressione dei dati
Ogni standard digitale può infatti accettare un altro standard digitale (interoperabilità) precedente o in fase di sviluppo, quale sorgente di determinate unità di testo, senza per questo definire tali unità a partire da quello standard in modo esclusivo. È così possibile per un nuovo standard accettare contenuti multimediali precedentemente diffusi (o diffusi da diversi protagonisti di mercato) realizzando allo stesso tempo miglioramenti progressivi nella gestione delle risorse e dei dati.
Grazie alla scalabilità di molti standard digitali, inoltre, sono perseguibili miglioramenti progressivi senza per questo dover mettere in discussione tutta la catena multimediale che termina nell’interfaccia utente. La logica con la quale vengono gestiti dati e risorse è modulare e può quindi essere adeguata a particolari contingenze come la banda passante o le potenzialità dell’interfaccia. Lo standard Mpeg 2 utilizzato dalla piattaforma DVB è un esempio in questo senso: pur non consentendo al momento interfacce utente con una definizione maggiore di quella attuale ne prevede l’utilizzo (HDTV). Uno stesso standard sarà quindi in grado di veicolare uguali contenuti multimediali con caratteristiche qualitative diverse a seconda dell’utenza e dell’infrastruttura disponibile.
Ancora. Il passaggio del segnale da supporto a supporto o da rete a supporto, comporta, in presenza di contenuti analogici, limiti superabili solo con una disponibilità tecnologica di tipo professionale. Gli stessi contenuti in forma digitale possono al contrario essere utilizzati per generare una infinità di cloni identici anche al di fuori della particolare forma di supporto utilizzata per la sua diffusione. In questo senso ogni limite naturale alla diffusione non autorizzata di contenuti intellettuali viene meno ed è necessario un diverso tipo di controllo che coinvolga tanto la parte software che quella l’hardware, quindi particolari circuiti dedicati all’interno dell’interfaccia utente[30].
Altra caratteristica dei contenuti in forma digitale è la non coincidenza tra tempo della fruizione e tempo necessario all’intelleggibilità tecnica dei dati, questo è dovuto alla possibilità di intervenire con particolari algoritmi nella codifica dei dati tali da ridurre la quantità di informazioni minime (bit) necessarie alla definizione di un determinato contenuto. Questo processo, detto di compressione è spesso proporzionale alla quantità di informazioni ridondanti in un dato testo e quindi impossibile da definire a priori. Oltre alla ridondanza gli algoritmi operano su quei dati non percepibili dall’utente, come frequenze acustiche al di sopra o al di sotto della soglia uditiva. La compressione dei dati, indifferente al canale trasmissivo o al supporto consente però un utilizzo più profittevole della banda passante del primo o della disponibilità di spazio fisico sul secondo.
Si tratta, come è facile intuire, di caratteristiche che influiscono in modo determinante sull’incontro prodotto - mercato; per questo motivo gli standard multimediali devono essere sufficientemente diffusi e devono essere dettati al mercato da organismi sovranazionali (ISO, ITU, ETSI) o semplicemente riconosciuti da questo per loro spontanea affermazione[31]. Scopo di queste sintesi quello di attivare in modo univoco l’intera catena del valore multimediale
Oltre all’affermarsi di questi nuovi standard la distribuzione on-line dei contenuti multimediali rappresenta per l’industria delle telecomunicazioni l’occasione per il lancio di nuovi servizi mentre richiede una progressiva diversificazione delle infrastrutture di rete insieme
Linterfaccia Utente
Siamo partiti da qui, parlando dell’interfaccia utente come fenomeno di mercato,
La distinzione fissata in precedenza tra prodotti basati sul personal computer e prodotti basati sullo schermo tv tende in sostanza ad individuare particolari fenomenologie di mercato più che a definire fossati tecnologici[32]. È infatti impossibile prevedere una nuova interfaccia multimediale a prescindere dalla potenza di calcolo messa a disposizione dalla microelettronica, visto il ruolo che quest’ultima svolge in funzioni di codifica, compressione, protezione dei dati digitali, ma soprattutto visto il ruolo che gioca in applicazioni off-line nel tenere aperto uno dei canali trasmissivi, quello che ne garantisce l’interattività. È altresì impensabile alienare il concetto stesso di interfaccia dall’esperienza che comunemente l’utente fa di schermo televisivo nel suo ambiente domestico, con tutti gli attributi riconosciuti come divenire tecnologico: formati estesi (16:9) e audio multicanale (Dolby Surround, AC-3).
Il “volto” della multimedialità, l’esperienza che è possibile fare di questo tipo di testi, è in questo modo legata a filo doppio sia al mondo dell’informatica, sia a quello dell’elettronica di consumo; in questo senso le forme di una interfaccia utente multimediale possono essere diverse: un set top box dotato di modem[33] e collegato alla tv e alla parabola o al cavo del fornitore di contenuti, un lettore di Dvd al posto del tradizionale videoregistratore, una postazione personal computer multimediale, un personal collegato alla tv che gestisca altre periferiche / canali multimediali… insomma è possibile immaginare diversi scenari senza possibilità di essere smentiti.
Queste molteplici forme oltre a proliferare sul mercato dettano nuove frontiere allo sviluppo tecnologico soprattutto là è maggiore la sensibilità e il riscontro immediato del termine multimediale, nella microelettronica applicata ai personal computer. Così
L’Organizzazione Internazionale Standard (ISO), l’Unione Internazionale Telecomunicazioni (ITU) agenzia delle Nazioni Unite operano in questo senso a livello mondiale mentre l’Istituto Europeo degli Standard per la Telecomunicazione (ETSI)
La multimedialit come interfaccia
Il visual computer
L’arena informatica
Fonte:
Harvard University
Glossario
Browser-Programma utilizzato per cercate e recuperare informazioni da WWW
CATV-Cable Television
Commutazione di circuito -
Commutazione di Pacchetto -
DVB- Digital Video Brodcasting. È un progetto promosso dalla Comunità Europea nel 1993 allo scopo di definire una strategia unica nella diffusione di nuovi servizi digitali di radiodiffusione attraverso canali diversi. Il consorzio DVB ha definito gli standard per la diffusione tv digitale via satellite (DVB-S) e via cavo (DVB-C) mentre sta ancora lavorando allo standard per le reti diffusive terrestri nelle bande VHF e UHF (DVB-T).
HTML-HyperText markup Language, il linguaggio per scrivere documenti in formato ipertesto visibili attraverso un navigatore WWW (browser)
HTTP-HyperText Transfer Protocol, il protocollo per trasferire
informazioni multimediali attraverso WWW
IP-Internet protocol, definisce lo schema di indirizzamento, le informazioni di pacchetto e di percorso per la trasmissioni dei dati attraverso internet
Java-È un linguaggio di programmazione ad oggetti per creari applicazioni software indipendenti dal sistema operativo, possono essere reperiti in rete e aumentare così le funzionalità dei navigatori WWW (browser)
Larghezza di banda - In un canale di comunicazione definisce il campo delle frequenze che possono essere convogliate senza pregiudizio per l’informazione trasmessa, suo sinonimo è nella trasmissione la velocità (espressa in bit/s).
Network computer- Una versione meno potente del personal computer che recupera le applicazioni software sulla rete invece di immagazzinarle su di un disco fisso
Pacchetto - Unità dati relativamente piccola (fino a 8000 bit) tasmessa
attraverso una rete a commutazione di pacchetto come parte di un messaggio da
trasferire da un utente all’altro. I pacchetti viaggiano con differenti
instradameti e vengono ricomposti a destinazione.
Pay-tv- È il nome con cui è conosciuto in Italia il servizio PPC-Pay Par Channel che consente agli abbonati la ricezione di canali televisivi non interattivi.
Provider-
Pull -
Push -
Router - Nodo di
smistamento. Un computer collegato alla rete internet che instrada i dati
digitali secondo l’itinerario più breve.
SAT TV-Satellite Television
Server- Un computer, non necessariamente su internet, collegato ad altri computer attraverso una rete
VOD-Video On Demand.
WWW- World Wide Web, un sistema per collegare informazioni, testi, audio
e video, attraverso ipertesti caricati su particolari server collegati alla rete operanti secondo programmi HTTP
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Indice
consumer 2
personal computer 2
[33]È realizzato attraverso la tradizionale linea telefonica il canale di ritorno nelle applicazioni N-VOD basate su piattaforma digitale DVB, mente sono in fase di sviluppo trasmissioni bidirezionali satellitari (Eutelsat) e sistemi ADSL